giovedì 1 luglio 2010

Sulla necessità di usare buone argomentazioni

E' difficile trovare argomentazioni serie e sostenibili a favore della visione teistica del mondo. Spesso e volentieri si incontrano argomentazioni chiaramente false, che fanno affidamento, per lo più, sull'incapacità di comprendere la complessità, sul richiamo all'umiltà, sull'autorevolezza delle fonti (quelle a favore del teismo, ovviamente) e cose simili.

Non si tratta di un problema recente: si ripete allo stesso modo non solo da decenni, ma addirittura da secoli. Sul blog Common Sense Atheism è comparso un articolo («Lessons from Ancient Indian Atheism») in cui è riportato un dialogo tra un credente e un non credente risalente all'India di ventisei secoli fa.

Il brano è davvero molto interessante, in quanto il saggio credente (il testo è stato ovviamente tramandato dai teisti), Kassapa, propone molte delle solite argomentazioni teiste: chiede al suo interlocutore, Payasi, le prove della sua incredulità, formula delle ipotesi, di cui ovviamente non fornisce dimostrazione, per smontare le argomentazioni di Payasi, minaccia il suo interlocutore di rovina se continuerà a mettere in dubbio le argomentazioni teiste, e così via. Nulla di nuovo sotto il sole.

Quello che però mi preme di dire è che neppure Payasi ci fa un figurone (anche se va considerato il fatto che le sue parole sono state conservate dalla persone a lui avverse). Le sue argomentazioni sono deboli e dimostrano una certa ingenuità, e inoltre non si accorge, né tanto meno evidenzia, delle pecche del ragionamento di Kassapa.

Neppure questo aspetto, va chiarito, è tanto mutato nei secoli. Anche oggi che il movimento dei cosiddetti "Nuovi atei" (Dawkins e Hitchens, per fare due nomi) si è guadagnato il merito di mettere in evidenza gli errori e le debolezze del pensiero teistico, gli atei continuano a commettere a fornire argomentazioni deboli a loro volta. Ad esempio, sia Dawkins che Hitchens, nei loro popolari libri L'illusione di Dio e Dio non è grande, presentano alcune argomentazioni fallaci, mentre altre volte non confutano le posizioni teistiche che dicono di voler confutare.

Certo, nelle discussioni argomentazioni più "alla mano" possono essere utili, per non dover ricorrere ad esposizioni pesanti e poco accattivanti, ma se si scrive un libro, sarebbe opportuno curare la validità delle argomentazioni che contengono. A tal proposito segnalo un libro in lingua inglese che dovrebbe essere sia leggibile che rigoroso: The Christian Delusion: Why Faith Fails, curato da John Loftus; se qualcuno volesse farmi un regalo, questo libro sarebbe molto gradito.

Insomma, la morale della favola è che in una discussione tra teisti e anti-teisti la verità può stare solo da una parte, mentre l'errore da entrambe.

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